Questo è un periodo che in qualche modo ha rappresentato l'attraversamento di un deserto metaforico: ci ha obbligato ad allontanarci da tutto e da tutti, ci ha sottratto alle folle della mondanità, ai suoi allettamenti, ai facili entusiasmi. Eppure, se guardo alla mia condizione, ho come la sensazione che questa privazione mi abbia regalato moltissimo, al di là di ciò che mi ha sottratto: mi ha ridato me stessa, il << vindica te tibi >>, la possibilità di costruire con pazienza un dialogo quotidiano con la mia anima, di riavvicinarmi alla mia fragilità, di firmare un armistizio con il mio passato, di ripensare a chi ero e a come vivevo quando ero poco più che una bambina.
Questo deserto mi ha restituito la voce nel silenzio, mi ha ridato la vista nel buio, mi ha preso la mano nella solitudine. Credo che questa sia la conquista più grande di chi attraversa qualsiasi deserto: trovare lo spirito.
Ed ogni giorno di più ci si scopre indifferenti alle cose materiali, felici del niente, estranei alla pantomima del potere, lontani dall'arrivismo della società, sordi ai richiami di chi vive di odio e rancore. Non si cade più nella provocazione di chi la cerca per esistere, non si sente più il bisogno di rispondere agli attacchi, non esiste più il tempo dell'inimicizia. Il deserto ti insegna la solidarietà e l'altruismo, la preghiera e il volto della Natura. Nel deserto si fanno incontri meravigliosi, e in ognuno di essi c'è il nostro volto, quel volto che si è finalmente riconciliato con i tasselli scomposti della nostra vita.
Questo deserto mi ha insegnato che non ho bisogno di esistere per gli altri per esistere, oggi esisto solo per me stessa, e per quelle mani amorevoli che non mi hanno mai lasciato. E alla fine di questo deserto vedrò solo l'amore, l'amore immenso che era già dentro il deserto e che ho portato con me in tutto questo viaggio.
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