martedì 15 dicembre 2020

LA PAROLA DEI PADRI E DEI FIGLI NELLE COMMEDIE DI TERENZIO

In molte delle sue commedie, ma in particolar modo negli << Adelphoe >> e nell' << Heautontimoroumenos >>, Terenzio riflette sulla crisi del modello educativo patriarcale e invita i "senes", ossia i padri anziani, all'indulgenza e alla tolleranza verso le nuove generazioni. Fu un messaggio rivoluzionario per una società, come quella romana, all'interno della quale il pater familias aveva persino il diritto di vita e di morte sui figli. Evidentemente qualcosa si era sfaldato in quel sistema "repressivo". 

La famiglia edipica, autoritaria e detentrice della parola unica, veniva messa in discussione in vista di un nuovo modello familiare che gravitava intorno all'idea di humanitas. Terenzio respirava un'aria di osmosi culturale tra mondo greco e mondo latino, frequentava il << circolo degli scipioni >> ed era avvezzo ad ascoltare uomini illustri come Scipione Emiliano e Gaio Lelio - che diventeranno poi i protagonisti dei dialoghi ciceroniani - parlare di valori alti come la solidarietà, il rispetto, la filantropia. 

Una delle massime più celebri di Terenzio, << homo sum: humani nihil a me alienum puto >>, riassume questo pensiero di comprensione verso l'altro, di indulgenza verso i propri limiti e quelli altrui, di protezione dell'umano in quanto esposto ai colpi della sorte volubile e quindi tanto più amabile nella sua fallibilità. Terenzio riscatta la parola dei figli in un mondo fino a quel momento dominato dalla parola infallibile dei padri. Cosa significa questo? Certamente che si stava formando una crepa nella compattezza del mos, che il dialogo - e qui si gioca il ruolo determinante della filosofia greca - stava incrinando la società monologante dei padri, che il conflitto generazionale diventava dialettico, realmente conflittuale, dal momento che entrambe le parole rivendicavano il proprio peso in termini di verità. Terenzio introduce il relativismo etico, le sue verità sono tante come gli spicchi di un agrume, la verità non è mai appannaggio di una sola categoria, ma una conquista personale che può di volta in volta essere reperita in mani differenti. Il suo messaggio era pericoloso perché toglieva ai padri l'imprimatur sulle azioni dei figli, e ricordava loro che l'unica forma possibile di sopravvivenza era quella fondata sui valori dell'umanità, dello scambio e della parola curativa. 

Oggi siamo in una società dove è difficile distinguere i padri dai figli, dove i limiti tra generazioni si assottigliano. Terenzio ci ricorda invece che alla base della dialogicità c'è la dimensione del limite: il padre clemente ed indulgente non è un figlio, ma un padre dal volto umano; un figlio che dà consigli al padre, pur nella sua assennatezza, non è un padre.

 Si può cogliere allora il valore intrinseco alla massima terenziana: l'umanità va salvaguardata proprio in questa sua non omogeneità, nella sua impossibilità di ridurre l'uno all'altro, nel discrimine che ci caratterizza come individui, nella peculiarità che ci rende singolari. E in questa umanità la parola dei padri e quella dei figli si armonizzano, è una parola che abbraccia, una parola che guarisce.

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