Egli affermava inoltre che questa grande figura era arbitra per metà delle sorti umane, giacché l'altra metà del controllo sulla sfera umana toccava alla virtù. Alla fine dell'opera, con grande acume, Machiavelli introduceva però una nota dolente, un pessimismo ulteriore che andava a sgretolare l'impalcatura apparentemente solida di questo in realtà precario equilibrio tra due forze: egli constatava infatti che nessun politico in Italia possedeva la dote della duttilità, ossia la capacità di adattare la propria condotta ai tempi e alle situazioni contingenti.
Vorrei proporre questi due capitoli ( XXIV e XXV) all'attenzione di tutti coloro, profani o addetti ai lavori, che oggi hanno sotto gli occhi la situazione italiana. Forse anche ai nostri politici sono mancate le due doti che per il pensiero machiavelliano costituiscono l'ossatura del comportamento e dell'agire del vero principe/politico: la capacità di previsione e la duttilità.
Consiglierei ai nostri politici e al nostro Premier una ripassatina veloce del trattato, che, non si sa mai, l'esperienza dei moderni ma anche la << lezione degli antiqui >> può talvolta fungere da strumento riparatore per i danni inferti al nostro Paese.
Chissà che la letteratura non possa aiutare anche la nostra classe dirigente a riflettere sui propri errori e a riformulare per il futuro dei provvedimenti che siano più tempestivi e utili, ad impostare azioni efficaci ed in linea con i tempi, come il nostro caro Machiavelli ci insegna.
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