mercoledì 16 dicembre 2020

PARLARE O TACERE

Ultimamente, in vista della preparazione del concorso, mi è capitato di rileggere due opere straordinarie, il << De tranquilliate animi >> di Seneca e l' << Agricola >> di Tacito. Entrambe sono come animate da una Weltanschauung comune: il senso dell'impegno attivo che contraddistingue il sapiens anche nelle situazioni di maggiore difficoltà. 

Seneca, infatti, nei capitoli 3-5 dell'opera polemizza con un altro filosofo stoico, Atenodoro, rilevando la sua arrendevolezza di fronte ad un problema capitale della filosofia: se l'uomo saggio debba o no impegnarsi politicamente, o se invece la politica di per sé impedisca a colui che ambisce a raggiungere la sapientia di agire conformemente ai propri principi. 

Seneca invita l'amico Anneo Sereno a non farsi abbattere dalle difficoltà, giacché colui che ha deciso di operare per la communis utilitas difficilmente può essere fermato dagli ostacoli che gli si presenteranno dinnanzi ed arriva ad affermare che << numquam enim usque eo sunt interclusa omnia ut nulli actioni locus honestae sint >> ( << mai infatti ci sono precluse tutte le strade, tanto che non ci sia spazio per alcuna azione virtuosa >> ). Con questa dichiarazione parenetica, Seneca abbraccia per il momento la scelta del << negotium >> ed esorta il suo interlocutore e i suoi lettori futuri a meditare sulla possibilità di continuare a servire lo Stato - che in questo caso si identifica con il princeps - anche quando sembrano venire meno le condizioni atte a garantire una politica ben fatta.

Nell'<< Agricola >> Tacito continua il discorso di Seneca, o meglio del Seneca che si faceva portavoce dell'impegno attivo, e nell'annosa questione se sia più utile o virtuoso per un uomo ostinarsi nell'opposizione ad un principe malvagio, o collaborare con lui in vista del superiore interesse della "respublica", egli sceglie senza alcun dubbio la seconda opzione. Afferma, infatti che << (...) posse etiam sub malis principibus magnos viros esse >> ( << anche sotto principi malvagi possono essservi uomini grandi >> ).

Trovo queste due opere moderne, per quanto possa essere positivo per un classico essere definito tale, nella misura in cui impostano un problema urgente anche per la nostra coscienza individuale: di fronte ad uno Stato vacante e difettoso, uno Stato che è manchevole nel farsi garante dei diritti fondamentali dell'uomo, quale è la posizione da tenere in vista del bene comune? 

L'intellettuale deve abdicare al suo ruolo scegliendo uno sdegnoso silenzio, abbracciare la rivolta facendosi discepolo delle parole del caro Camus, o collaborare attivamente con un contenitore di norme sempre più svuotato di senso? 

Ha senso oggi la protesta o conviene sempre e comunque rimanere in linea con quanto è progettato dai piani alti della società? 

Ha senso tacere, parlare sopra o parlare con la nostra politica, immaginando un futuro diverso? 

John Lennon, assassinato l'8 dicembre del 1980 da Mark David Chapman, ci invitava a protestare, ma ammetteva anche di essere un sognatore. Seneca fa scelte altalenanti, Tacito sceglie l'<>. A noi oggi non resta forse che il compito difficile di rimanere umani in un mondo sempre meno attento alle esigenze dell'individuo.

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