venerdì 9 aprile 2021

DISUMANIZZAZIONE NELLA LIRICA MODERNA


Du reste, je ne veux rien d' humain.

Questo verso pronunciato dalla sua bocca potrebbe costituire il motto di tutta la poesia di Mallarmé. 

La lirica europea del XX secolo ha dimostrato attraverso l' opera di grandi autori, tedeschi da Rilke, Trakl fino a G. Benn, francesi da Apollinare a Saint-John Perse, spagnoli da García Lorca a Guillén e di quelli italiani da Palazzeschi ad Ungaretti, senza escludere gli anglosassoni da Yeats a T. S. Eliot, quanto la sua capacità espressiva non sia da meno ed inferiore alla filosofia, al romanzo, al teatro, alla pittura e alla musica. 

La magia della lirica sta nel fatto che può comunicarsi ancor prima di essere compresa. Questa sua "oscurità", diremo, accompagna il lettore, a sua insaputa, lungo un percorso affascinante quanto misterioso che crea in lui una tensione tendente all' inquietudine. 

Tale dissonanza diventa così una peculiarità, uno stile della lirica che genera in chi legge soddisfazione e fascino. Baudelaire diceva :

C'è una certa gloria nel non essere compresi 》.

 Appaiono così alcune categorie, nella lirica moderna, che potrebbero nella loro negatività risultare non qualificanti. Tali categorie invece vengono impiegate non per "svalutare" ma per "definire". Tra queste categorie possiamo ricordare la disumanizzazione. La tendenza della poesia moderna a distaccarsi in modo sempre più deciso dalla vita naturale. Se leggiamo i testi di Mallarmé così come quelli di Rimbaud non notiamo dati biografici. I loro testi, diversamente da quelli dei poeti del Romanticismo ci restituiscono un linguaggio che esula da riferimenti al sentimento che sia di malinconia, di gioia o altro, allontanandosi comunque dalla sfera personale fino a far morire la persona : poetare significa 《annientare un giorno della vita, ovvero morire un pó...dedicarsi ad un singolare lavoro che è completamente diverso da ciò che tende alla vita

 Sappiamo dai contemporanei che buon uomo fosse Mallarmé e quanto mite, cortese, partecipe dei dolori altrui e molto sofferente egli stesso. Di tutto ciò nelle sue poesie non è passato che la mitezza, il suo famoso sommesso parlare che egli amava anche nella conversazione, ma non l'umanità sofferente. Quando gli fu domandato ingenuamente: 

《Non piangete, dunque mai nei vostri versi ?》egli dette la pronta risposta : 《E neppure mi soffio il naso!》

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