martedì 15 dicembre 2020

SCOPRIRE LA GALASSIA DAD

Una mia riflessione sulla DAD e dintorni La didattica a distanza è una galassia differente da quella in presenza. Su questo non ci sono dubbi. Quello che mi spaventa però è la ritrosia di alcuni colleghi a voler sintonizzarsi non tanto con il mezzo, quanto con quello che sta al di là del mezzo, cioè i ragazzi. 

Un insegnante difettoso di empatia in presenza, lo è anche a distanza, giacché la Dad non ha e mai avrà un impatto miracolistico su chi non ha mai praticato l'ascolto e il dialogo. La mia visione dopo due mesi di Dad è quella di sentirmi più ricca ogni volta che esco da una videolezione; trovo i ragazzi, pur nelle difficoltà di questa situazione liminare, liberi, sganciati da alcune sclerotizzazioni tipiche di un processo educativo trasmissivo unidirezionale, liberi intendo di raccontarsi, di raccontare la società di cui fanno parte. 

Credo che come in tutte le occasioni di relazione, anche quella educativa passi attraverso il modus operandi di chi sta in una relazione. 

Se il mio atteggiamento è la chiusura, non potrò pretendere di trovare dall'altra parte del monitor il dinamismo e la gioia dell'imparare; se invece mi porrò nella direzione di un'educazione in cui è l'educatore stesso a procedere, a riflettere, a mettersi in discussione quanto colui che apprende, il cammino sarà diverso: ci sarà un iter di crescita globale, un discorso vero nella misura in cui nessuno è esentato dal riflettere. 

Così si incontra l'altro, nel dialogo. Il dialogo è quella strada biforcata dove la rigidità del mio Io si slabbra ed entra in comunicazione con gli altri, la "paranoia" diventa gioia. Aprendo la mia parola, il mio discorso agli altri, in questo caso ai miei ragazzi, io posso dire di averli realmente incontrati e conosciuti.

Ho iniziato l'anno con persone che riflettevano solo a proposito delle marche di scarpe più in voga, oggi mi trovo a parlare di attualità, di politica, di sanità, di tutela del diverso, di diritto allo studio. Forse non diventeranno premi Nobel, neanche io lo diventerò. Ma non è questo il punto: il punto è che la scuola deve garantire a tutti il diritto di sentirsi INDISPENSABILI ED UNICI; deve premiare << la vite storta >>, per citare Recalcati, promuovere quel quid che rende una persona diversa dalle altre e per questo tanto più speciale, deve creare oasi, riserve naturali di parola, protette dall'incombere della mediocrità, deve parlare con e ascoltare i ragazzi. 

Una scuola sorda, una scuola muta, una scuola che si tappa gli occhi di fronte alle problematiche dei ragazzi è una scuola senza anima, una scuola docimologica dove il voto conta più di un percorso, la rigidità più della creatività, la chiusura entro certi schemi ormai vetusti più della libertà.

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